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Da quando si è aggiudicata il prestigioso premio Thelonious Monk per i musicisti emergenti, nel lontano 2004, dopo aver frequentato i corsi dell'omonimo istituto, Gretchen Parlato ha inciso, a suo nome, poco. The Lost And Found è, infatti, il suo terzo disco solista, che segue gli altrettanto belli In a Dream e il disco d'esordio, Gretchen Parlato. Questo, però, non vuol dire che in tutto questo tempo la vocalist sia rimasta inattiva. Al contrario. Nel breve volgere di qualche anno Gretchen è diventata una sorta di piccola musa - diremmo, pucciniamente, una musetta, e che il Maestro di Torre del Lago ci perdoni - del jazz contemporaneo: la sua voce sottile, l'intonazione particolare, il senso ritmico implacabile eppure morbido e fluttuante, hanno stregato molti musicisti (Wayne Shorter l'ha definita, senza mezzi termini, un formidabile talento), che l'hanno chiamata a collaborare in numerosi progetti: una cinquantina sono le partecipazioni discografiche della Parlato in dischi altrui, a testimoniare un'attività frenetica, una centralità indiscutibile e indiscussa nella nuova scena jazzistica statunitense, ma soprattutto la capacità di adattarsi ai contesti più diversi, aggiungendo a questi il suo originalissimo, e ormai inconfondibile, tocco. L'attesa per il nuovo lavoro, dunque, era alta, e le aspettative non sono andate deluse. Tutt'altro. The Lost and Found non è soltanto il suo miglior disco, e un lavoro assai convincente di per sé, ma è quello che ne rivela, e svela, più compiutamente la cifra peculiare, l'orizzonte espressivo, l'ambizione. In esso, Gretchen Parlato si dimostra per quello che è, ovvero un'abilissima cantante, un'eccellente compositrice, e una paroliera sensibile al senso e alla musica delle parole. Soprattutto, dimostra di camminare, con invidiabile equilibrio, ma senza equilibrismi, sul sottile filo che separa jazz e popular music (ammesso, beninteso, che ciò abbia ancora un senso negli anni Dieci del ventunesimo secolo), abitando ciascun mondo con grande proprietà ed eleganza. Questa sua capacità di mescolare, ibridare, di mostrare cioè come sia possibile una terza via piena di buonsenso e rispetto per tutte le fonti musicali alle quali si attinge è la forza maggiore di un lavoro che va precisandosi con risultati spesso emozionanti. Sin dall'iniziale "Holding Back the Years," ripescata niente meno dal repertorio dei Simply Red, si capisce l'aria che tira, ed è un'aria freschissima, raffinata, timbricamente esatta, coinvolgente, elegante. Perché l'altro grande pregio del disco è quello di essere stato provato e inciso da un gruppo che lavora insieme regolarmente, che ha avuto tempo di ragionare anche sulle scelte di arrangiamento più minute, sulle soluzioni meno prevedibili. Il repertorio, però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è, ruffianamente costruito sulle riletture jazzy di materiale popular (come ormai spesso accade): si divide tra riletture e brani originali; questi ultimi o sono stati scritti integralmente, parole e musica, o la vocalist ha apposto un testo sulle musiche dei suoi compagni di viaggio. Il dato che più colpisce, allora, è che finalmente gli originali sono assai più interessanti delle cover: a dirla tutta, le composizioni di Gretchen, soprattutto "Winter Wind," "How We Love" e "Better Than," sono le cose migliori dell'album (aggiungendoci "Still," su musiche del chitarrista Alan Hampton). E, per rincarare la dose, sembra quasi che le riletture di monumentali classici del jazz moderno ("JuJu," di Shorter, e "Blue in Green" di Bill Evans) siano fuori posto: omaggi dovuti ma non centrati, né perfettamente aderenti al progetto complessivo.
Infine, due parole sui musicisti. Anzi una: fantastici. Empatici, creativi, brillano per la sapienza con cui seguono ogni piccola curva del tragitto, assecondano la musica, ne condividono il respiro. Menzione speciale per Kendrick Scott, talmente moderno da sembrare antico. È il batterista che vorrei essere. Se torno a nascere. Attualità
"Credo che una delle cose piú belle sia lasciar trasparire la proprea vulverabilitá. Attraverso una canzone: É un modo per essere onesti, puri e rispettosi della musica.... Per me, la musica é una forza immensa, molto piú potente di quanto possiamo immaginare. Si tratta semplicemente di comportarsi da veri artisti e di sentirse un mezzo attraverso il quale si esplica la bellezza, non il proprio ego."
Nel music business si parla troppo e si canta poco. E spesso le voci migliori tacciono. Prendete Gretchen Parlato, ad esempio. Sangue statunitense - è di Los Angeles - ma cuore portoghese, la cantante ha approfondito i suoi studi di jazz vocale con Kenny Burrell, Gerald Wilson e Tierney Sutton. Accettata al Thelonious Monk Institute of Jazz Performance, ha affascinato gente del calibro di Wayne Shorter e Terence Blanchard, giudici della selezione di nuovi talenti. Herbie Hancock, altro membro della commissione giudicatrice, disse: “Insieme ad una sezione ritmica, avevamo scelto un sassofonista, un chitarrista e un trombonista, ma non riuscivamo a trovare un buon trombettista. Sentimmo Gretchen e capimmo che la sua voce avrebbe ricoperto quel ruolo, mentre gli altri musicisti improvvisavano armonie”. Nel 2004 si è aggiudicata il Thelonious Monk International Jazz Vocals Competition. Risultato? La jazz vocalist con tanti attestati di stima, premi e ricchi cotillon, è senza contratto. E per farsi conoscere, anzie sentire, autoproduce questo omonimo esordio! Ambivalenze e contraddizioni di un mondo musicale che se non è impazzito poco manca. Parlato non sarà Elis Regina né Ella Fitzgerald, ma è in grado, con la sua timbrica vocale precisa e calda, eclettica e sensuale di dare punti a molte e più blasonate sue colleghe. Negli otto brani del CD ripercorre il repertorio di Carmichael (“Skylark”), di Jobim (“Chega de Saudade”, “Ela é carioca”), si affaccia nelle stranezze rock di Björk (“Come to Me”), nella limpida allegria di D’Javan (“Flor de Lis”) e regala anche due brani usciti fuori dalla penna del suo chitarrista, Lionel Loueke (“Nonvignon” e “Benny’s Tune”). Un CD che è molto più di un tradizionale promo. Se qualcuno lo ascoltasse e magari, invece di parlare, s’accorgesse della Parlato... |